mercoledì 24 novembre 2010

MARLENE KUNTZ: un nuovo progetto...


Marlene Kuntz e Masbedo al Torino Film Festival


Sabato 27 novembre alle ore 12, presso la sala Greenwich in via Po 30 a Torino, i Marlene Kuntz ed i Masbedo presenteranno la visione integrale del progetto visivo realizzato per il nuovo album “Ricoveri virtuali e sexy solitudini”.
Il film, ambientato in Islanda, si sviluppa in quattro capitoli legati ai suoni e alle parole di altrettanti brani del disco.
Nello svolgersi di queste canzoni (“Piacere speciale”, “Paolo anima salva”, “Io e me” e “Vivo”) viene raccontato il viaggio esistenziale di un uomo attraverso un mondo alieno e surreale; un mondo di diversità e inquietudine sospeso in una realtà difficile da condividere.
Il protagonista, impersonato dall’attore islandese Throstur Leo Gunnarsson, si muove attraverso gli scenari mozzafiato dell’isola in un ambiente che richiama alla mente per potenza estetica ed atmosfere i lavori di Jim Jarmusch e Tim Burton.
Una piccola opera d’arte. Non mancate!

TRABANT: vorrei partire e non tornare...


Inizialmente la sua denominazione era quella di AWZ (Automobilwerk Zwickau). Il nome Trabant venne utilizzato per la prima volta nel 1957 per il modello definitivo P50 e significa compagno di viaggio, così come il termine russo Sputnik, satellite lanciato nello stesso anno dall'Unione sovietica. Agli inizi questo modello doveva essere un motoveicolo che solo alla fine del progetto venne convertito in una automobile. La P50 era dotata di un motore a due tempi di 500 cm³.

La fabbrica produceva tre modelli d'
auto, la berlina, la cabriolet e la giardinetta; tutte le "601" (dagli anni '60 agli anni ottanta) montavano motori a due tempi di 595 cm³ per 25 cavalli che in seguito venne sostituito con quello da 1043 cm³ della Volkswagen Polo (molti proprietari della vettura avevano anche montato sulle loro auto il motore della Fiat 128). Le prestazioni erano modeste e l'auto impiegava 29 secondi per raggiungere i 100 km/h con partenza da fermo, mentre la velocità massima era di 112 km/h. Inoltre il motore produceva un notevole fumo dallo scarico.
Le Trabant furono le prime auto tedesche con la carrozzeria interamente realizzate in materiali 
plastici. Per realizzare la carrozzeria veniva utilizzato ilDuroplast, un materiale contenente resina che veniva rinforzata con lana o cotone. Questo materiale era economico da produrre ed evitava alla DDR di dover importare il costoso acciaio. Anche se non offriva molta protezione in caso di urto, recenti crash-test hanno dimostrato che la protezione offerta da queste vetture era comunque adeguata alla classe della vettura.
Con la riunificazione, auto come la Trabant sono state schiacciate da altre case automobilistiche e dalle rigide misure anti-inquinamento, per cui la produzione cessò. Oggi la Sachsenring AG produce solo dei componenti di ricambio per motori a scoppio.
Nei primi anni novanta era possibile acquistare una di queste vetture per una cifra irrisoria e ci fu un certo mercato. Con l'andare del tempo però si sono fatte più rare ed il loro prezzo è salito, pur rimanendo sempre molto economiche. Oggi si può vedere il modello ancora circolare in alcuni paesi dell'Europa orientale come RomaniaBulgariaMoldavia, ma talvolta anche in Islanda, dove le auto "datate" (moltissime americane anni sessanta-settanta, ma anche automobili dell'est Europa quali la Trabant) sono apprezzate per la loro robustezza, quindi adatte al clima freddo e alle strade non asfaltate dell'isola.
In effetti la Trabant salì agli onori della cronaca anche alla fine degli anni novanta quando si venne a sapere che era riuscita a superare il test dell'alce, mentre vetture molto più moderne (come la Mercedes-Benz Classe A), in un primo momento, non ce l'avevano fatta (questo test è una prova di stabilità condotta effettuando, con la vettura in movimento, una sterzata brusca come se si dovesse evitare un animale che attraversasse la strada improvvisamente, un test molto importante nei paesi dell'Europa Settentrionale). La Trabant, che il test l'aveva superato addirittura nel 1990, ricevette un inaspettato riconoscimento per le sue doti di stabilità.
pubblicato su WIKIPEDIA

giovedì 18 novembre 2010

GEALAND: FRAGMENTS OF BERLIN

GEALAND: FRAGMENTS OF BERLIN: "FRAGMENTS OF BERLINSix musicians, a director, a graphic designer from Arthouse Tacheles to underground culture A short video by Fernando Mar..."

lunedì 15 novembre 2010

IL TEATRO E' UN RITO MAGICO


Ho acquistato alcuni giorni fa, un e-book dal titolo TEATRO COME TERAPIA. L'autore è WALTER ORIOLI. Ecco un suo intervento in occasione di un convegno. Lo pubblico indirizzandolo a quelli che come me, hanno smarrito il senso primario del far teatro. Sono parole da ricordare al mattino, appena svegli, per non smarrirsi...


La necessità di teatro sociale e terapeutico
di Walter Orioli

Intervento al convegno: “I teatri di confine. Il confine del teatro” Genova, Palazzo Rosso,
24 novembre 2006



Tutti hanno diritto a cinque minuti di celebrità
A. Warhol
Il teatro sociale non mette in scena i drammi e le storie di disabili, di carcerati e di tutti i “casi umani” in difficoltà ma preferisce prendersi cura di loro, del corpo, delle relazioni, in questo modo che sta diventando una nova frontiera dell’attività teatrale nel nostro paese. Mentre la teatroterapia è collocabile all’interno del teatro sociale, lo psicodramma, i giochi di ruolo e tutte le tecniche parallele che non contemplano il profondo lavoro dell’attore su se stesso non vanno collocate nel teatro come forma di arte sociale.
Ci terrei a chiarire i confini di ciò che chiamiamo teatro sociale e terapeutico.
Il termine terapia ha avuto un’importante evoluzione in questi ultimi vent’anni. Oggi è impiegato non solo per definire un trattamento medico ma, anche, per delimitare la cura dello sviluppo personale. Il termine è usato da noi con un’accezione non medica, che basa il suo significato su una concezione positiva della salute. Tanto più se collochiamo il benessere fisico, psichico e sociale facendo appello alla creatività e alla capacità di comunicare tramite i linguaggi delle arti.
È cosa nota, dagli albori dell’umanità, la funzione di cura dell’arte teatrale, ma oggi noi siamo in grado di stabilire un nesso ancora più specifico tra gesto artistico e segno dell’anima, tra interpretazione e vissuto dell’artista, tra contenuto scenico e simbolico, tra trasposizione estetica e nucleo nevrotico dell’attore. I passaggi sono molto semplici nella prassi del teatro.
In prima istanza, il processo consiste nell’abbandonarsi deliberatamente al istinto di piacere, a un’inconscia accettazione di essere più leggeri, più spontanei di quanto siamo nel quotidiano modo di vivere ed anche in contrasto con l’istinto aggressivo  e distruttivo di memoria freudiana.

L’arte nasce come creazione di segni mai creati, si nutre del processo di astrazione necessariamente di tipo extra-quotidiano, utilizza la libertà nel rapporto con le cose, i luoghi, le emozioni, la storia personale e sociale. Sono queste le semplici istanze che ci guidano a migliorare la conoscenza di noi stessi. Ognuno di noi è un artista nella misura in cui riesce a transitare da una falsa identità a una autentica, a sfondare i confini individuali in un atto d’amore transpersonale e simbolico. Una consapevolezza che ci conduce per mano a rigenerare la vita, a conquistare nuovi spazi di comunicazione.
Spesso la produzione di segni espressivi ha molto a che fare con l’esclusione dalla coscienza di determinate rappresentazioni che sul palcoscenico ritornano alla consapevolezza e si traducono in gesti che vincono le guerre dentro di noi e quindi fanno scaturire la pace.
Come ben sappiamo, già Freud affermò che la funzione dell’arte consisteva nella sublimazione delle pulsioni indesiderate che, nell’artista, emergono spontaneamente nello spostamento sull’opera. Rimozione, spostamento e sublimazione sono meccanismi psicologici di difesa che compongono e stimolano la produzione artistica, ma all’origine dell’arte o dell’antiarte c’è l’inspiegabile, ciò che non può essere espresso diversamente, ciò che non è possibile fare ne pensare e che non si può chiarire con il linguaggio verbale, perché verbale non è. Forse si tratta di una condizione di esilio mentale che nasce dalla constatazione di Nietzsche  circa la morte di Dio cioè di quel passaggio dal senso certo al senso incerto della vita e dei suoi valori. Oggi infatti di ogni verità è vero anche il contrario e “ciò che si esprime attraverso il linguaggio non può esprimersi nel linguaggio” come sostenuto da Wittgenstein.
L’uomo si esprime in minima parte tramite il linguaggio verbale. Una grande limitazione, altamente positiva e fondamentale da accettare, che apre lo spazio creativo ai linguaggi non verbali e ai loro processi infiniti di senso, di trasformazione. È attraverso il linguaggio della finzione e della verità scenica che si definiscono i significati profondi delle nostre recite  a soggetto nella vita quotidiana dove siamo uno, nessuno e centomila personaggi.
Il teatro, prima di ogni altra cosa, è un modo per rappresentare, tramite la finzione, dei significati.  Un momento dopo l’espressione si può accertare che un suono, un gesto, un segno porta con sé un desiderio, un rimosso, un nascosto. Ma, mentre l’espressione non è un processo intenzionale, l’arte è un processo che presuppone un’intenzione e quindi è tendenzialmente un procedimento cosciente. Solo così potrebbe essere sinonimo di grazia, di gusto, di ingegno. Ecco quindi che il passaggio dall’espressione a ciò che chiamiamo opera d’arte, performance, transizione, è una via maestra di traduzione dall’inconscio alla coscienza piena, estetica ed etica. Infatti, la culla dei due processi, quello dell’arte e quello della trasformazione di se, è una condizione fluida e continua che transita dall’informe alla forma. Naturalmente tutto cio implica il lavoro profondo dell’attore su se stesso, sulla presenza in scena, sul corpo, la voce, l’azione, l’improvvisazione, la costruzione del copione, l’immedesimazione nelle tre strutture del pre-espressivo, l’espressivo e il post-espressivo.

Rito sociale e rito teatrale

Una importante sostegno alla realizzazione di questo processo terapeutico consiste nella strutturazione del setting rituale.

Il rituale è un fenomeno basilare che compone l’azione dell’artista e che riveste caratteri di tipo psicologici, antropologici, sociali e culturali.
Quando pensiamo al rito ci sovvengono le immagini legate al corteggiamento negli animali, o ai riti di iniziazione degli adolescenti all’età adulta, o alle modalità cerimoniali di matrimonio, di funerali nelle diverse culture. È attraverso queste azioni ripetute sempre uguali a se stesse, che è possibile tramandare un sistema di significati transpersonali. Un sistema di valori che rappresentano la cura più alta della coscienza umana e l’aspetto universale dell’essere racchiuso in simboli, in archetipi particolari e, come ben sappiamo, in identità sociale stabilita da simboli di appartenenza.
Turner e Van Gennep (a cui Turner si ispire nel suo famoso testo Dal rito al teatro) per primi hanno chiarito la funzione di trasformazione dei riti di passaggio. Riti in cui è possibile individuare tre fasi: la separazione, la transizione e l’incorporazione.
La separazione è la fase introduttiva che delinea nettamente lo spazio e i tempi sacri, non quotidiani, da quelli profani e quotidiani. Essa implica un comportamento simbolico, premessa fondamentale per il distacco dei soggetti dal loro precedente status sociale.
Una fase intermedia di transizione detta “margine” o limen o soglia, nella quale i soggetti attraversano una zona e un tempo di ambiguità, una sorta di limbo sociale, una “fase liminale” ed espressiva che implica un certo grado di trance.
Una terza fase di incorporazione dei fenomeni e delle azioni simboliche che rappresentano il raggiungimento da parte dei soggetti della nuova posizione, relativamente stabile e ben definita, nel complesso della società. Il passaggio di status è rappresentato simbolicamente anche da un passaggio di spazio: esso può essere semplicemente l’apertura di una porta o invece coincidere con uno spostamento geografico da un luogo all’altro.
Nel teatro di ricerca  e nella teatroterapia abbiamo scoperto e applicato altri tre dispositivi psico-antropologici: la rivelazione, la trasformazione e la soluzione (vedi W. O., Teatro come terapia, p.116).
Se accordiamo i due processi otteniamo che, nella separazione si procede verso la rivelazione di elementi di novità che si impongono sullo sfondo della biografia del soggetto, mentre nella transizione si procede alla trasformazione. Per esempio, nel sistema del teatro, tramite il gioco dell’improvvisazione e della catarsi scenica o piccolo delirio dell’attore, si aprono le porte a una nuova prospettiva interpretativa.
In fine nella incorporazione si ha la soluzione, la forma visibile della narrazione drammaturgia o trama della commedia. Una fase post-espressiva artistica che rende all’attore la coscienza del proprio valore comunicativo e creativo.
In sintesi, non si può prescindere dalla dimensione rituale nei suoi tre caposaldi di svolgimento se si vuol far teatro sociale e terapeutico. Non si tratta quindi di far terapia tramite l’arte teatrale, ma prima di tutto attraverso il rito. Quella condizione celebrativa di colui che estraniato da se stesso e separato dalla sua terra transita in passaggi di status, incorporando soluzioni di nuove identità: finzioni vere di contenuti inconsci o semplicemente segni che servono a risanare ferite rimosse componendo una forma di azioni speciali frutto anche di sublimazioni individuali.


Dall’individuo al sociale

Nella misura in cui è sufficentemente definito questo procedimento psicoartistico di natura antropologica-rituale all’ora possiamo passare alla dimensione sociale dell’evento performativo.
Nessuno può negare che le artiterapie ricoprono i tempi della cura e della riabilitazione psichiatrica e partecipano attivamente alla risocializzazione della persona nei “casi umani” in difficoltà rompendo la privatizzazione del disagio che nella nostra società sembra una costante sociologica, mentre nelle società così dette primitive non esisteva il concetto di “malattia privata”. Col trionfo del privato, la malattia diventa un fatto intimo, forse troppo intimo e personale. Anche perché la medicina psicosomatica sta affermando tutt’altro e cioè la causa relazionale che sta alla base del disagio fisico.
Comunque, in questo contesto, la ritualità di gruppo nei laboratori di teatro ricolloca il malessere o il disturbo su un piano sociale, a un disagio della civiltà che non può essere più negato.
In questo contesto chiediamoci come si colloca la professionalità del teatroterapeuta e quali funzioni svolge da un punto di vista sociale? È certamente un professionista che sovrintende alla cura della persona ricomponendo, nell’istanza performativa di tipo rituale, la dimensione simbolica del disagio. Egli sa che, a volte, le condizioni rituali hanno bisogno della catarsi per esprimere i contenuti e che la catarsi ha bisogno della ritualità per situarsi tra performance e cura.
Se collochiamo il teatro all’incrocio tra artigianalità, performance e clinica otteniamo una nuova disciplina che chiamiamo teatroterapia facente parte del più vasto settore del teatro sociale. Una tecnica, un procedimento, un mezzo per agire direttamente sull’animo umano con la pluralità dei linguaggi verbali e non verbali, espressivi e pre-espressivi, cognitivi e intuitivi.
Col teatro sociale da una parte e con le artiterapie dall’altra, la teatroterapia si trova davanti a una vasta gamma di possibilità creative nelle quali tutti possono diventare artisti in quanto ognuno semplicemente desidera esprimersi per quello che è o vorrebbe essere. Per tutti, sani e disagiati,  l’arte potrebbe rappresentare una dimensione evolutiva dell’esistenza.
Ma la funzione dell’artista è anche quella di resistere alla caduta dei valori umani della solidarietà che attanaglia sempre più le nostre società, è anche quella di sviluppare la creatività individuale in vista  della definizione di uno spazio utopico ed etico della comunicazione.
Nello specifico dell’arte teatrale, essa si fonda su un doppio asse di comunicazione, una interna di elaborazione del processo di costruzione della scena e una esterna di comunicazione. Entrambi i setting sono determinati, da un punto di vista psicanalitico, dallo spazio transizionale del gioco e della creatività, un luogo ove si struttura una zona proiettiva e virtuale dalle infinite possibilità interpretative.


Al culturale artistico

In questo modo Bonito Oliva inquadra la questione storica del gioco nelle arti:
L’irruzione della psicanalisi e delle scoperte scientifiche, esplose all’inizio del secolo, ha ridotto la presunzione di un controllo totale da parte del soggetto, di poter dominare tutta la realtà. L’interpretazione dei sogni di Freud, il quantum di Plank, l’indeterminazione di Heisemberg hanno scardinato la superbia cartesiana della ragione occidentale, aprendo verso direzioni che le avanguardie storiche, specialmente il Dadaismo e il Surrealismo, hanno praticato fino in fondo mediante l’introduzione del gioco come sovvertimento delle regole…
Al gioco psico-corporeo si ispirano anche le artiterapie e la teatroterapia e il teatro sociale che si inquadrano nella ricerca artistica contemporanea a pieno titolo, sviluppando una straordinaria libertà creativa senza confini, ne inibizioni e con molta tolleranza. In questo senso il Dadaismo e il Surrealismo sono indubbiamente punti di riferimento anche per la nostra ricerca, per il rifiuto delle culture tradizionali, per aver proposto un rifacimento degli oggetti e quindi anche dei corpi, per il principio compositivo incentrato sui meccanismi dell’inconscio e della casualità.
In conclusione noi perseguiamo nel nostro lavoro teatrale a ispirazione arteterapeutica la costruzione dell’essere complesso e polivalente quale è l’uomo nella sua dimensione dell’essere uno, nessuno, centomila aspetti dell’io, veri e finti, reali e immaginari, terreni e divini. Forse dovremmo fare appello anche alle divinità dell’Olimpo, a Dioniso in particolare perché ci aiuti a sperimentare la dimensione divina della pulsione e le simbologie della spontaneità. Ma anche al dio Pan che tratta il difficile rapporto tra natura selvatica e animalesca e quella umana e civile, tra istinto e cultura. Ecco forse è proprio questo che desideriamo ricercare nel nostro lavoro attoriale, trovare una soluzione creativa al conflitto tra natura e cultura. Nei laboratori di teatro questa istanza si realizza con facilità e naturalezza:
“ quando ho cominciato a frequentare un corso di teatro la sensazione è che avessi a disposizione la mia ora d’aria come fossi un detenuto.
In quest’ora mi svagavo e uscendo ero più  leggera e più  felice.”

 Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, Einaudi - Torino, 1964.
 Vedi dell’autore Teatro come terapia, 2001.
 Achille Bonito Oliva, Il gioco è fatto, Catalogo Electa, riportato dal quotidiano La Repubblica del 26 giugno 2006.

martedì 9 novembre 2010

IL NUOVO VIDEOCLIP DI ANDREA CHIMENTI: Vorrei Incontrarti





Una grande, grande emozione...a distanza di 6 anni dal fortunatissimo videoclip LA CATTIVA AMANTE, abbiamo nuovamente il piacere di dirigere Chimenti nel  videoclip della cover di VORREI INCONTRARTI  (Alan Sorrenti) pubblicata nel cd TEMPESTA DI FIORI. Un Chimenti in grande forma: sorridente, istrionico... disposto a mettersi in gioco quando il gioco si fa duro!!!
Siamo felici di questa bella opportunità fatta di divertimento e di creazione. Il videoclip sarà presentato entro la fine di novembre.
MARIA ERICA PACILEO & FERNANDO MARAGHINI

sabato 6 novembre 2010

AWAKEN REVENGE ritratti \ ottobre 2010 a BERLINO















I sorrisi e gli sguardi degli AWAKEN REVENGE mi fanno compagnia in questa notte di nebbia nell'universo. Su FLICKR ZENOLAND ho pubblicato un set di ritratti scattati a BERLINO.
http://www.flickr.com/photos/zenoland

venerdì 5 novembre 2010

IO VOGLIO CULTURA!!!

IO VOGLIO CULTURA è un' iniziativa ideata da FERNANDO MARAGHINI, GEA TESTI, MARIA ERICA PACILEO. Da adesso sino ad una settimana prima delle  elezioni comunali aretine previste per il 2011, raccoglieremo la testimonianza fotografica di tutti i cittadini del Comune di Arezzo, che vorranno aderire a "IO VOGLIO CULTURA". Chiederemo a chi vorrà far sentire la propria voce di posare per una foto con in mano il nostro logo. Il materiale\tesimonianza verrà consegnato ai due futuri candidati a sindaco della città di AREZZO perchè tengano conto, e si impegnino in maniera costruttiva, nei confronti di quella che è la volontà e il desiderio dei cittadini\elettori, indipendentemente dall'appartenenza politica...
Per adesioni: 334 5927291 \ 3494958464 \ 3389252805

giovedì 4 novembre 2010

ARCHIVIO FOTOGRAFICO di ZENOLAND\FLICKR


Su Flickr abbiamo pubblicato la prima serie di scatti realizzati a BERLINO aventi come soggetto il graffitismo imperante all'interno del TACHELES.

http://www.flickr.com/photos/zenoland/

LA DIVISIONE TRA SPIRITO E MATERIA

Oggi ho potato il mandorlo che cresce nel mio giardino. L'ho fatto per lui e anche per me. L'energia fuoriesce dalla materia organica e si trasferisce nel mondo delle idee attraverso dei canali sottili di comunicazione. Puoi sentire l'energia scorrere nelle particelle che ci circondano e che danzano al suono di una preghiera. Tra me e il mandorlo si sono intersecati mondi superiori che richiedono un atteggiamento di umiltà e una forte passione all'ascolto. Udire il suono del mistero. Rendere visibile l'invisibile. Un mandorlo, sacrificandosi, può indicarci la strada.
FERNANDO MARAGHINI

mercoledì 3 novembre 2010

REACTABLE

E' il futuro che si manifesta in trasparenza, in forma orizzontale, come superficie luminosa da plasmare con il tatto? Gli elementi tridimensionali racchiudono il dna del suono e agiscono per empatia o per avversità... magnifico...!!!!
REACTABLE è uno strumento che permette una composizione collettiva---è acqua solida affascinata di suoni...

TACKELES IN BERLIN, casa delle Kulture





Innanzitutto...diamo il benvenuto su ZENOLAND agli artisti che ci hanno accompagnato a Berlino: GEA TESTI e gli AWAKEN REVENGE. Gli stimoli ricevuti dalla frequentazione di un luogo così carico di stratificazioni e di  significato, la casa della cultura TACHELES, ha prodotto idee che insieme a GEA svilupperemo, nel tentativo di conoscere e abitare molteplici WONDERLANDS in continua trasformazione.
Tra breve pubblicheremo una serie di scatti fotografici effettuati a Berlino... appunti visivi per meglio tratteggiare quella che è stata un'esperienza unica e irripetibile.
FERNANDO MARAGHINI
ZENOLAND è un luogo virtuale sul quale tutti i creativi diventano cittadini onorari. La condivisione di idee è l'unica moneta necessaria per sopravvivere...
I due primi cittadini di ZENOLAND vi danno il benvenuto: Erica e Fernando